SEGNALAZIONI

  • L’impressione del colore. Montagne in fotocromia. 1890-1910, catalogo della mostra a cura di Veronica Lisino, con testi di Bruno Weber (Dal chiaroscuro al Photochrom. Lo sfoggio di colori nelle arti grafiche) e di Veronica Lisino (Colore perfetto: un giorno qualunque), 271 tavole, apparati, (cronologia, schede, cataloghi), Collezioni del Museo Nazionale della Montagna-Torino, Torino 2012

 

La mostra torinese e il catalogo concernono un notevole insieme di vedute della produzione della Photoglob Zürich, conservate nel museo torinese. L’insieme delle immagini riguarda non soltanto - come recita il titolo - le montagne, ma anche vedute urbane, gruppi di genere ecc, di diversi paesi del mondo.

Il testo di Bruno Weber fornisce utili informazioni sulle tecniche della stampa a colori e in particolare sul procedimento Photochrom.

Il testo di Veronica Lisino – dal titolo forse un po’ troppo criptico, soprattutto in considerazione dell’impostazione e della portata del testo stesso - costituisce un serio fondamentale contributo a un argomento fin qui troppo trascurato – soprattutto in Italia - dagli storici della fotografia malgrado una letteratura internazionale di una certa estensione e consistenza.

Il saggio svolge un’articolata ricostruzione storica delle tecniche, della produzione (dagli inizi all’arresto), delle tematiche e dei contenuti iconografici e formali, anche con considerazioni importanti sulla costruzione dell’immagine (ritocchi, fotocollage di figure terzine ecc) e sulle varianti di vedute con lo stesso numero di catalogo o della stessa immagine in versioni coloristiche diverse (purtroppo non sempre riprodotte in catalogo).

Puntuali anche le considerazioni critiche relative alle valenze e ai contenuti  iconografici e formali. Non mancano notazioni interessanti, come quella della scarsa frequenza di “inquadrature con elementi e forme in primissimo piano” (p. 42), o sul mutare del gusto coloristico delle vedute nel procedere temporale delle edizioni (ivi).

Tuttavia qualche valutazione risulta forse eccessivamente riduttiva. Ad esempio in merito alla portata delle serie Photoglob sul piano dell’iconografia e della cultura visiva si legge: “è bene ricordare che sul piano dell’iconografia e della cultura visiva la Photoglob non ha apportato alcun cambiamento significativo, semmai ha contribuito a stabilire e rafforzare alcuni stereotipi visivi e letterari […]. Considerando le inquadrature e la costruzione delle immagini risulta evidente come, indipendentemente dal soggetto, esistesse uno schema compositivo omologante e caratterizzante il marchio Photoglob che non comportava sostanziali novità o differenze, non solo tra le diverse immagini, ma anche rispetto ad un’iconografia dei luoghi ormai  stabilizzata” (p. 40). Gli  schemi e gli stereotipi sono pur sempre da  individuare, definire e storicizzare; e non è da trascurare che spesso anche piccoli scarti rispetto a un punto di vista e un quadro di tradizione consolidata sono significativi. Per fare almeno un esempio la veduta di Napoli (tav. 106) è certamente vicina a quelle riprese da punto di vista analogo da molti fotografi ottocenteschi, ma il rapporto degli elementi della composizione (ampio primo piano con pino contenuto nella parte bassa, secondo piano con il tessuto urbano, e sfondo con il Vesuvio) è diverso.

Non sembra da escludere che più che ricalcare stereotipi tradizionali le stampe Photoglob abbiano prodotto e avviato stereotipi. E in tal senso sarebbe anche da approfondire quanto il procedimento e il gusto coloristico degli operatori della Photoglob abbiano concorso ad omologare e “stereotipare” vedute di contesti radicalmente diversi (Alpi, India, America….).

Sarebbe auspicabile sviluppare considerazioni sul rapporto (rappresentativo?) fra la collezione di stampe studiata e l’enorme produzione della Photoglob, nonché di altre ditte (Schroeder & Cie, Detroit Photographic Co….), rapporto quantitativamente pari a meno di un millesimo. E se anche fosse dimostrato che “le vedute urbane (delle grandi capitali europee e americane) vennero soppiantate dai paesaggi, in cui sembrano per certi versi persistere gli elementi paesistici e naturalistici cari al viaggiatore romantico” ci sembra che sarebbe da indagare e valutare, quantitativamente e qualitativamente, l’estensione del vedutismo sia urbano che paesistico ad aree ancora per l’epoca poco coltivate e poco stereotipate.

Meriterebbe anche approfondire il rapporto fra riprese dallo stesso punto di vista (o da punti di vista analoghi) e formati di stampa  (verticali e orizzontali, di diversa misura); si veda per esempio il significativo nucleo riprodotto nelle tavole 32-34, 166.

Frutto non trascurabile dell’impegnativa ricerca è anche l’apparato delle schede di tutte le 271 stampe in possesso del museo torinese, rigorosamente impostate ed elaborate.

Ci sia consentito, proprio in omaggio al valore del contributo, di rilevare un noioso refuso: la indicazione del marchio “Photostint”della Detroit Company (p. 49, nota 81 e p. 197)  anziché “Phostint”.