Il periodo della calotipia (grosso modo due decenni, gli anni quaranta e cinquanta dell’Ottocento), contemporanea alla dagherrotipia e abbastanza rapidamente soppiantata dal negativo su vetro al collodio (a partitre dal 1851) è nodale e di eccezionale interesse nella storia della fotografia. Il dagherrotipo era immagine in copia unica non riproducibile; il processo al collodio consentì la nascita e il proliferare di stabilimenti fotografici commerciali che potevano diffondere un numero teoricamente illimitato di stampe fotografiche tratte da un negativo; il calotipo inaugura l’era della riproducibilità dell’immagine ma gli autori furono spesso dediti all’arte fotografica a titolo d’interesse personale ed elitario, per il piacere proprio e di qualche amico o di contribuire all’album familiare, e spesso del calotipo oggi è conosciuta un’unica copia (su carta salata). Recentemente, fra il 2007 e il 2010, tre esposizioni, e relativi corposi cataloghi, hanno apportato un contributo importante alla storia della calotipia in Gran Bretagna, in Italia e in Francia. Particolarmente importanti sono il primo e il terzo evento, mentre quello sulla calotipia in Italia presenta un percorso e una documentazione alquanto discontinui e disomogenei e carenze non irrilevanti (ad esempio l’assenza di qualsiasi esempio dei calotipi di uno dei maggiori protagonisti della storia della calotipia in Italia, Enrico Van Lint, peraltro compreso nel dizionario biografico; cfr. la nota nella pagina spigolature di questo sito). Il contributo alla storia della calotipia in Francia approfondisce ed amplia un territorio storiografico già solido ed ampio inaugurato dal contributo pionieristico di André Jammes e Eugenia Parry Janis (The Art of French Calotype, 1983).
Qui ci interessa soffermarci sul contributo inglese, risultato di un progetto e di un’impresa di straordinaria ampiezza dovuto a Roger Taylor, uno dei più notevoli storici odierni della fotografia, già autore di contributi esemplari quali la monografia su George Washington Wilson (George Washington Wilson Artist & Photographer, Aberdeen University Press, Aberdeen 1981) e la monografia con relativa mostra (insieme a Daniel Malcolm) su Roger Fenton (All the Mighty World: The Photographs of Roger Fenton, 1852-1860. Yale University Press, New Haven 2004).
La calotipia è nata in Gran Bretagna ad opera di Talbot (quindi è nota anche come talbotipia) nel 1840, ma mancava ancora una ricerca ampia e approfondita sull’argomento.
Taylor indaga e illumina i fattori estetici, tecnici, pratici e socio-culturali che hanno agito e interagito nella storia della calotipia in Gran Bretagna.
Dopo il capitolo dedicato al ruolo svolto dal grande evento della esposizione universale di Londra del 1851 (nel Crystal Palace immortalato dalla serie mirabile di riprese di Benjamin Brecknell Turner) nella storia dell’affermazione della calotipia, Taylor dimostra nei capitoli successivi come la fotografia del negativo su carta raggiunse la massima fioritura lungo il corso degli anni cinquanta. Egli indaga anche il ruolo svolto dalle associazioni fotografiche (in particolare Photographic Society Club e Photographic Exchange Club) e da periodici quali « Notes and Queries. A Medium of Inter-Communication for Literary Men, Artist, Antiquaries, Genealogists, Etc. », il bisettimanale fondato nel 1849 che per primo incluse la fotografia fra i soggetti trattati, il « Journal of the Photographic Society », a partire dal 1853, o ancora il « Liverpool Photographic Journal », a partire dal 1854. È nell’ambito di tali associazioni che si svolse fra l’altro il dibattito fra i sostenitori del negativo su carta e i suoi effetti tonali considerati più consoni a un’identità artistica della fotografia e i sostenitori del realismo il più possibile ricco di dettagli definiti favorito dal negativo su vetro. Il settimo capitolo è dedicato a indagare le motivazioni estetiche e culturali delle scelte contenutistiche prevalenti nella calotipia inglese della seconda metà degli anni cinquanta : ritratti della società vittoriana pervasi da un senso di vulnerabilità, paesaggi della campagna inglese (boschi e alberi, rovine di castelli e abbazie, ecc) ricchi d’aura anche come rifugio cui ricorrere per rifuggire dalle realtà urbane investite dai processi dell’industrializzazione e di cui offrirono immagini straordinariamente espressive d’aura del luogo – puntualmente commentate da Taylor nei loro caratteri emotivi, simbolici e formali – calotipisti già celebrati quali il grande Benjamin Brecknell Turner, Hugh Owen, John Muir Wood, John Dillwyn Llewelyn, Thomas Sutton, ma ancora molti altri finora meno o per nulla noti quali Horatio Ross, Henry Taylor, Thomas Davies, William Newton, William John Thoms, Thomas Keith, Robert Wilfred Skeffington Lutwige, William A. Pumphrey, James Peter Knight, Lady Augusta Mostyn o amatori indipendenti dalle associazioni, quali Robert Henry Cheney o Alfred Apel Cure. Nel capitolo dedicato agli echi del Grand Tour, oltre a calotipisti già celebrati dalla storiografia (quali Bridges, Jones o Kit Talbot, tutti tre connessi con Fox Talbot, o Edward King Tenison e Charles Clifford), Taylor presenta personalità finora sconosciute fra le quali spicca Jane Martha St. Jones, le cui immagini dell’Italia rivelano un gusto formale straordinario e mirabile. Negli itinerari di grandi calotipisti viaggiatori, a parte il grande Fenton, John Murray e Linnaeus Tripe, si segnalano i tre fratelli Alfred, Thomas James e Edward Backhouse.
Non compreso nella mostra ma grande protagonista della calotipia di scuola inglese è John Brampton Philpot (il quale peraltro è compreso nel dizionario biografico).
La ricerca è fondata su fonti primarie importanti, come i cataloghi delle esposizioni, che hanno consentito a Taylor di costituire un database contentente notizie di più di ventimila esposizioni individuali nel periodo 1839-1865, grazie al quale egli ha potuto identificare un numero significatico di calotipisti non noti precedentemente e di loro opere. Il database è stato pubblicato nel 2002 sotto il titolo Photographs Exhibited in Britain 1839-1865, successivamente reso disponibile anche come sito web (www.peib.org.uk.). L’autore ha inoltre beneficiato di un vasta rete di relazioni e di sostegni anche finanziari per svolgere le indagini presso un numero veramente notevole di collezioni pubbliche e private.
Il dizionario biografico (pp. 283-392) comprende più di cinquecento calotipisti inglesi.
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